Quando il sommelier sente la grafite, è la fine

Quando il sommelier sente la grafite, è la fine

Vi è mai capitato di partecipare ad una degustazione di vini e sentire il sommelier descrivere il vino con quel tipico profluvio di sentori che ti domandi “ma davero davero?”.

Sono anni che assisto, deluso, a sciorinamenti senza anima di “sentori di“: sentori di prugna, fico, mora, mirtillo, cuoio, chiodo di garofano, salvia, carrube e perfino GRAFITE. Cari sommelier, ma ve magnate la grafite a cena o c’è qualcosa che non quadra? Io non sento la grafite. La grafite non ha odore. Si si lo so, è una metafora, ma è proprio necessario? Il vero problema, però, non è questo. Il problema a monte è che le degustazioni con gli esperti del vino, sempre più spesso, stanno diventando teatri per vecchi attori stanchi e senza più mordente se non quello di essere autocelebrativi. Il pubblico è poco coinvolto. La platea si annoia. Io personalmente mi annoio.

Caro Sommelier, posso darti un consiglio? Raccontami dell’anima del vino, raccontami una storia d’amore, fammi emozionare facendomi viaggiare tra i filari di uve di quella tale azienda vinicola, raccontami la terra che nutre le vigne, raccontami la regione, raccontami la storia dei vignaioli, svelami qualche segreto, raccontandomi dove dormono le bottiglie e – solo alla fine – raccontami le emozioni che ti dà quel bicchiere. Perché solo dopo che mi avrai trasportato in quel meta-universo, potrai elencarmi le tue percezioni olfattive. Parlami pure di sentori di cacao, di crosta di pane, di tabacco, di cuoio, di pipì di gatto e se vuoi, mettici pure la grafite, ma prima, fammi innamorare.

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