Linchiesta di Report sulla pizza
Il giorno atteso dagli appassionati della pizza è arrivato: L’inchiesta di Report sulla pizza ha aperto la stagione autunnale con un’inchiesta sui pericoli connessi alla preparazione del piatto italiano più famoso al mondo. Il programma di Milena Gabanelli è entrato in alcune fra le più note pizzerie di Napoli, Roma, Milano, Venezia e Firenze allo scopo di mostrare i pericoli connessi ad una cottura in forni non correttamente puliti e a utilizzo di ingredienti molto spesso di scarsa qualità . «I pizzaioli – scrive in una nota che anticipa il pezzo Bernardo Iovene, autore dell’inchiesta – hanno l’abitudine di non pulire il forno, tra fumi e farina carbonizzata la pizza può rappresentare un rischio per la salute. Abbiamo fatto analizzare le pizze in un laboratorio specializzato sugli idrocarburi negli alimenti e i risultati verranno diffusi nel corso della trasmissione. Nell’inchiesta di Bernardo Iovene si affrontano anche il mercato delle pizze surgelate, le scatole per la pizza da asporto, ed emerge che il cartone più usato è illegale. Si analizzano le farine usate, l’impasto, e gli ingredienti, nelle varie città italiane». Report ha portato assaggiatori professionti a degustare il prodotto italiano più diffuso nel mondo in alcune pizzerie e il risultato è preoccupante. L‘inchiesta parla anche dei contenitori da asporto della pizza che in molti casi non sarebbero rispondenti ai minimi canoni di igiene previsti.
Il reportage televisivo sulla pizza inizia da Napoli e poi tocca Milano. Parla Guido Perin, docente e Ecotossicologo dell’università di Venezia che spiega i pericoli connessi ad una scarsa pulizia del forno. Farina carbonizzata e legno incombusto, possono lasciare materiale definito «cancerogeno» dal docente universitario. «Noi vogliamo che le pizzerie lavorino meglio – dice Milena Gabanelli introducendo l’inchiesta – è stata anche per noi una sorpresa leggere le analisi di un laboratorio specializzato…». Report è andato da Antonio Pace, presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana che ha confermato: «Se è bruciata la pizza sotto? Significa che è stata messa troppa farina». Iovene va da Michele a Forcella, 1.300 pizze al giorno, una delle leggendarie pizzerie partenopeem e mostra come l’alimento finale sia visibilmente bruciato nella parte posteriore.
Le analisi di Report sulle pizze
Benzo(a)pirene e benzoantracene sono le sostanze che vengono trovate nei campioni di pizza bruciata portati da Report in un laboratorio specializzato ad Oderzo, in provincia di Treviso. Si tratta di idrocarburo policiclico aromatico della classe dei benzopireni. Nient’affatto confortante come analisi. Successivamente viene mostrato come anche in alcuni forni del pane la situazione ancor più pericolosa: si tratta di forni che cuociono pane con forno alimentato a gusci di noce. Dai sacchi dei gusci, tuttavia, spiegano gli stessi addetti, esce di tutto: insetti e nei casi peggiori, topi. E ovviamente quando si tratta di forni vecchi la fuliggine ha il sopravvento.
Il caso dei cartoni della pizza da asporto
Di cosa sono fatti i cartoni nei quali va a finire la pizza da asporto? La legge, ricorda Report, dice che si devono utilizzare cartoni di cellulosa purissima poiché rispondenti ai canoni igienici minimi previsti dalle norme italiane. E invece non c’è granché controllo e in molti casi ci ritroviamo i cartoni di materiale riciclato che non può essere utilizzato. La controprova materiale, illustra Report, può essere fatto strappando la parte superiore del contenitore se ci si trova il calssico cartone ondulato allora quello è un cartone da asporto “illegale”.
Al Nord Italia pizze surgelate, finta mozzarella e olio di colza
In numerose pizzerie del Nord Italia le pizze sono surgelate: si tratta di basi precotte non si sa con quali ingredienti base (farine e lievito) che poi vengono inviate a ristoranti, bar eccetera che non hanno i forni o i pizzaioli. Vengono mostrati casi di pizza surgelata spacciata come pizza fatta al momento. Vengono intervistati consumatori che spiegano come, nei casi di pizze surgelate, la reazione è di pesantezza e in alcuni casi anche malore.
Nella pizza ci va la farina 00? Quanto deve lievitare la pasta?
Farina 00, farina Manitoba (rinforzata) o integrale? La differenza di glutine è uno degli aspetti trattati da Report. Il glutine è una sostanza lipoproteica che può dare problemi in alcuni casi (gonfiore addominale eccetera). Uno dei metodi per assicurare alta digeribilità della pizza è far lievitare 24 ore l’impasto. Ma viene spiegato, con l’ausilio di un assaggiatore in alcune pizzerie al taglio nella città di Roma e a Milano che per le pizze lievitate rapidamente vengono utilizzati i miglioratori enzimatici nell’impasto per consentire il rapido lievitare dell’impasto.
Olio di girasole o olio extravergine nella pizza?
L’olio è un altro argomento che viene trattato dall’inchiesta di Report sulla preparazione della pizza in Italia. Olio rancido, olio di oliva mischiato con l’olio di girasole «meglio chiedere pizza senza olio e mi porti la bottiglietta di extravergine, tanto tutte le pizzerie ce l’hanno» suggerisce Milena Gabanelli. Molti pizzaioli intervistati a Napoli sostengono invece che è corretto mischiare parte di olio extravergine d’oliva e parte di olio di girasole, poiché il primo se versato in modo assoluto sul disco di pasta risulterebbe per i clienti più “pesante” da digerire.
Report indaga sul pomodoro nella pizza
Pomodoro italiano (per lo più pelato?) o pomodoro concentrato prodotto dalla Cina? Report indaga anche sul pomodoro, alimento principe della pizza classica napoletana, la margherita. Il San Marzano, prodotto nell’Agro-Nocerino Sarnese, è una eccellenza mondiale ma il disciplinare della pizza Stg indica la possibilità di realizzare pizza anche con pomodoro non San Marzano, di difficile reperimento, ormai, visto che la produzione viene ceduta quasi tutta in esportazione all’estero. Il San Marzano, poi, costa in media 50 centesimi in più rispetto al pomodoro comune.
Mozzarella per la pizza col latte tedesco?
La mozzarella è italiana, ma le materie prime? Il latte tedesco mischiato a quello di alcuni produttori della Campania per realizzare la mozzarella tagliata alla julienne che viene poi venduta alle pizzerie. Motivo di questa scelta, lo spiega un operatore del settore: il latte tedesco costa di meno.
Brutta figura per Napoli. Ma perché solo per Napoli?
L’inchiesta sulla pizza si conclude con una chicca napoletana, ovvero il museo bluff della pizza, (al Museo “Mamt”) irrimediabilmente chiuso. La domanda che ci si pone è questa: le questioni scientifiche possono anche essere inappellabili, ma basta visitare 3-4 pizzerie napoletane per gettare la croce su migliaia di esercizi commerciali in una delle città che in assoluto ha più pizzerie dislocate sul suo territorio?
Pizza cancerogena: la rivolta dei pizzaioli a Napoli
Numerosi pizzaioli, interpellati da Fanpage.it hanno chiesto di poter vedere la trasmissione prima di esprimere un giudizio. Tuttavia il giudizio è concorde su una serie di fattori: il primo è quello dei controlli su cottura e alimenti che all’ombra del Vesuvio, nella città tradizionalmente considerata “capitale mondiale” della pizza, è alto, il secondo è sui forni che, sempre a detta dei piazzaioli napoletani, sarebbero assolutamente privi di problemi.