I ristoranti giapponesi in Italia: non c’è pericolo di radioattività
«Nei nostri ristoranti la clientela è un po’ diminuita, diciamo del 10-15% nelle ultime due settimane». La signora Naoko Aoki, titolare del ristorante Osaka di Milano, è anche segretaria dell’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi. Nella sua voce piena di cortesia, come lo stile del Sol Levante impone, non manca però un velo di preoccupazione. L’acqua del mare della prefettura di Fukushima è sempre più radioattiva, e sushi e sashimi si fanno con il pesce. «La paura dei clienti è del tutto infondata – continua la signora Aoki – perché il pesce che usiamo nei nostri ristoranti viene dal Mediterraneo, non dal Giappone».
Nel Sol Levante è corsa al certificato di non-radioattività ma, nel frattempo, la scorsa settimana il Ministero della Salute giapponese ha denunciato di aver trovato 99 prodotti radioattivi solo nella città Tokyo, tra cui latte e verdure. Temendo il peggio, gli Stati Uniti, tra i più grandi importatori di prodotti giapponesi, è diventata la prima nazione a bloccare le importazioni di frutta, verdura, latte e prodotti lattiero-caseari provenienti dalle zone colpite.
E anche se il ministero della Salute ha disposto severi controlli su tutto ciò che viene dal Giappome, la fobia radioattiva resiste. Ma per gli altri alimenti, per esempio la salsa di soia? «Guardi, quella viene prodotta in Europa, in Olanda. Dal Giappone vengono importati piuttosto dei preparati alimentari, come il miso (preparazione a base di soia e base della celebre zuppa, ndr). Ma le scorte presenti ora in Europa bastano per periodo compreso fra i sei mesi e un anno. Poi si vedrà, ma è certo che quello che oggi nei ristoranti si serve cibo del tutto sicuro». Per diffondere queste informazioni il più possibile, al consolato giapponese di Milano l’associazione sta anche preparando anche una serata-evento con giornalisti e varie autorità del Comune.